L’apporto del Modello Denver nel Comunity Network Approach

L’apporto del Modello Denver nel Comunity Network Approach

 Nel 2002 ebbi il piacere di partecipare al corso intensivo di formazione teorico- pratico tenuto dalla professoressa Sally Rogers dal titolo “valutazione e trattamento integrato dell’autismo” presso la AUSL di Reggio Emilia.

In tale occasione sentii parlare per la prima volta del modello Denver e dei Prompt incidentali che aiutano gli operatori a rendere indipendenti i loro assistiti.

In quel periodo ancora la nostra cooperativa Tutti giù per terra usava molto il metodo Portage, per una facile diffusione delle tecniche e degli strumenti da usare nei vari ambienti di vita.

Per i bambini sotto i 6 anni la checklist del Denver mi sembrò subito una valida alternativa alla check list del Portage, più aggiornata e sempre semplice da somministrare anche per i non addetti ai lavori. Sostanzialmente questa checklist fornisce una scala di valutazione dell’età dello sviluppo: punto di partenza per un’approccio evolutivo che pone il bambino al centro del processo terapeutico.

Mi sembrò quindi già allora è utile inserire la checklist tra le griglie valutative in uso, e continuo anche oggi a farne uso soprattutto per quei casi che per diverse ragioni non possono venire a studio per essere sottoposti a test di maggiore approfondimento quali il PEP, il Nepsy 2, o altri test che abitualmente siamo soliti somministrare per fare la programmazione funzionale.

Utilizzando la checklist del Denver l’operatore non ha bisogno di portarsi materiali spesso ingombranti quali quelli di un test, ma gli basta avere una griglia di osservazione. In ogni caso la programmazione è sempre di tipo individualizzato

Interessante rispetto all’approccio utilizzato fino a quel momento, era l’enfasi che il modello Denver poneva sull’utilizzo di diversi tipi di “Promt” -ovvero sollecitazioni fisiche o visive che fungono da starter per le risposte dei bambini- per rendere i bambini indipendenti, come anche l’enfasi data al gioco come strumento principale dell’intervento, privilegiando la socializzazione con i pari in ogni contesto, mediata e/o coordinata da un adulto dove necessario, per favorire l’imitazione e la comunicazione.

Da allora la formazione dei nostri operatori si è avvalsa di tale strumento cercando di usare il meno possibile il prompt verbale (che facilita la dipendenza) e ci siamo concentrati anche sull’apprendimento incidentale che già stavamo sperimentando anche con il metodo Portage.

Il nostro approccio quindi oggi si realizza soprattutto nell’ambito della comunità di vita del bambino: a casa, nel parco e a scuola, e questo coincide con la proposta del modello Denver dell’apprendimento di tipo incidentale, che tanto abbiamo apprezzato tra i corsisti dell’epoca.

Il bambino, al centro del nostro approccio, lavora nel proprio ambito di vita, rimanendo il più possibile in contatto con i suoi pari per potenziare lo scambio comunicativo e le abilità sociali, privilegiando l’insegnamento dell’imitazione per apprendere al meglio.

Cerchiamo di prendere spunto dall’iniziativa del bambino per creare uno scambio reciproco funzionale alla relazione, usando materiali motivanti (per esempio le shoebox tasks) per coinvolgere il bambino nelle attività e renderlo partecipante attivo del processo di cambiamento in atto.

Nel nostro Comunity Network Approach  abbiamo l’obiettivo primario di condividere le informazioni e favorire gli scambi comunicativi tra le diverse risorse che il bambino e la sua famiglia hanno: molte le riunioni di èquipe e le osservazioni svolte nei diversi contesti per conoscere meglio il  bambino e per generalizzare gli apprendimenti.

Nel modello è prevista la partecipazione a cicli formativi rivolti ai genitori (parent training o terapia mediata dai genitori) e alle insegnanti (counselling sul caso o corso di aggiornamento).

Questo ci permette di ottimizzare i tempi di lavoro anche in classe e in presenza dei genitori per poter raggiungere un monte ore di lavoro di almeno 20 ore (intervento di tipo intensivo)previsto anche dal modello Denver come tempo indicato per avere risultati clinici efficaci.

Ulteriore aspetto di rilievo del nostro lavoro è la multidisciplinarietà della nostra équipe che è oggi un modello di riferimento: convivono infatti con noi diverse figure professionali, come terapisti occupazionali, logopedisti, psicologi ed educatori professionali, operatori socio- sanitari e altre figure che, oltre a collaborare attivamente al buon successo dei nostri progetti, mettono in rete formazioni professionali spesso diverse (Teacch, ABA, Denver, etc.), creando uno scambio di competenze ed una flessibilità di approccio che, a tutto vantaggio del bambino o ragazzo con sindrome dello spettro autistico, è assolutamente unico nel nostro paese.

dott.ssa Fabiana Sonnino